11 marzo 2011
di slctiscali
Qual è il limite oltre cui non è più sostenibile il ricatto sulla perdita del proprio posto di lavoro?
Qual è il limite oltre cui non è più sostenibile l’immotivato rancore che ci si vede scaricare addosso per colpe mai commesse? E qual è, soprattutto, il reale beneficio che si ottiene nel subire tutto questo?
Ci si può abituare a convivere con la menzogna, la minaccia, il ricatto, l’arroganza, l’umiliazione?
Quotidianamente ci sono colleghi che ci raccontano di colloqui in cui vengono invitati a lasciare la società dietro minimo compenso (che poi, quando riguarda più persone, si chiama esodo incentivato) e che vengono quasi “accusati” di svolgere delle attività inutili, come se peraltro queste fossero state scelte dal lavoratore e non dall’azienda. Quotidianamente vengono dunque cancellate attività e mansioni, che nessuno prende in carico come se mai fossero servite. Ogni giorno abbiamo notizia di colleghi bruscamente demansionati, come se dieci anni di onorato e silenzioso lavoro non fossero mai esistiti.
Sia ben chiaro, nel mezzo ci sono anche iniziative giuste, ma i modi con cui vengono portate avanti restano decisamente opinabili.
La comunicazione ufficiale degli spostamenti sovente non avviene tramite l’ufficio preposto, ma tramite un addetto alla logistica che, novello Caronte, contatta il malcapitato di turno per accompagnarlo con i suoi averi al girone di destinazione. I responsabili diretti spesso non vengono informati (colpevoli di avere uno di quei fastidiosi livelli intermedi), ma si limitano a prendere atto dell’accaduto. I “superiori” negano di essere stati coinvolti, seguendo in molti casi la via tracciata da Ponzio Pilato.
I settori “core” dell’azienda pare siano diventati la gestione documentale e l’assistenza tecnica. La domanda diventa: d’accordo internalizzare le attività, ma siamo un call center o un’azienda di Telecomunicazioni?
C’è un oscuro piano, ben delineato quanto preoccupante, o si tratta di banale e incontrollata impulsività? O l’azienda sta “strambando”, per usare un linguaggio velistico, verso un’altra direzione a noi non nota né minimamente condivisa con i rappresentanti sindacali e i lavoratori?
Vorremmo capire, quantomeno per prepararci all’impatto.
Nel mentre recepiamo le reazioni dei clienti, che paiono sempre meno in termini numerici e sempre più scontenti. Quello che solitamente viene definito “Customer Care”, ovvero il settore che dovrebbe prendersi “cura del cliente”, pare fastidiosamente visto come un covo di persone inutili, incapaci e poco produttive. Del resto, per chi non ha mai gestito una chiamata di Front end si tratta solo di alzare una cornetta e dire con cortesia buonasera.
Visto che gli addetti sono considerati inetti e svogliati, via con le automazioni. Sacrosante, ma non se vengono fatte talmente in fretta (che ci vorrà mai, del resto), che nessuna di queste funziona, se non raramente o dopo corpose modifiche e aggiornamenti. Del resto nel felice mondo fatto di finta semplicità e forzato ottimismo questo non sembra aver alcun valore, si tratta al massimo di piccole rifiniture da fare successivamente.
Nel mentre i clienti non chiamano più, non perché soddisfatti e privi di necessità, ma perché il risponditore automatico li ringrazia e gli chiude il telefono in faccia. Non sempre, però. Capita anche che li spedisca verso un settore a casaccio: vuoi assistenza tecnica? Vai al settore amministrativo. Vuoi assistenza per la tua fattura? Vai al gruppo che sblocca gli ordini in fase di attivazione.
Qualche cliente probabilmente dirà: vuoi che ti paghi? Vai al diavolo!
Le disdette intanto sembrano aver fatto una bella inversione di tendenza nell’ultimo mese, aumentando di circa una volta e mezzo! Forse è un caso, perché nell’isola felice che viene sistematicamente descritta dal vertice aziendale così non è.
Peccato che anche l’ACR dell’assistenza tecnica clienti indichi il contrario: nel mese di febbraio ha toccato punte percentuali mai così elevate. Che possa esserci una correlazione con le disdette? A voi la risposta ….
Forse siamo noi che non riusciamo a vedere oltre. Quantomeno perché ignorati e privati di qualsiasi informazione basilarmente prevista nel concetto di “relazioni industriali”. Relazioni che sussistono solitamente in qualsiasi azienda che vada aldilà delle dimensioni di una bottega.
Al posto dell’orizzonte che avevamo di fronte prima, appare ora una linea in costante avvicinamento, come quella che si vede quando si percorre un torrente: a momenti l’acqua è calma, in altri impetuosa, ma si avanza inesorabilmente, trasportati dalla corrente, senza riuscire a governarla o contrastarla, dritti verso quella linea. E’ il limite, oltre cui c’è la cascata.
Cagliari 11/03/2011 Le RSU Tiscali Italia
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